"L'obiettivo della scrittura è far sì

che gli altri ascoltino, vedano e sentano."


secondo Joseph Conrad, Lord Jim

Quando e come i Gotthelft sono entrati nella mia vita? Perché ho avuto a che fare con questa famiglia ebreo-tedesca per più di 20 anni?

Nel 1998 iniziai le ricerche per la mia tesi di dottorato sullo scrittore Albert Rausch che aveva pubblicato anche con il nome di Henry Benrath. Rausch visse dal 1882 al 1949 e fu molto letto fino agli anni Sessanta. Poi cadde così profondamente nell'oblio, che non c'è quasi nessuna letteratura di ricerca su di lui. Quel poco che scoprì sembrava più una leggenda che una verità. Quindi studiai i suoi libri e scavai negli archivi, leggendo diverse centinaia di lettere scritte a mano, da Rausch e a Rausch, per un periodo di circa cinque anni. Alcune erano facili da decifrare, altre richiedevano giorni di sforzi.


Gebrüder Gotthelft - Königliche Hofbuchdrucker

Gebrüder Gotthelft - Stampatori di libri della Corte Reale


Parallelamente al lavoro d'archivio, cercai persone che avessero conosciuto Rausch e potessero parlarmi di lui. Ed in effetti sono stato fortunato! Attraverso una lunga ricerca, all'epoca ancora privo delle possibilità che offre l‘internet, sono riuscito a trovare due manciata di persone. A Stoccarda incontrai il suo editore, Albert von Haller ed in un sobborgo di Genova, Elisabeth Beeler. Lei aveva gestito l'albergo in cui Rausch aveva vissuto durante la Seconda Guerra Mondiale. A Coira parlai con Peter Walser, fratello di un amico intimo di Rausch ed a Copenaghen con Paul Saft, che una sera si trovò per caso a far parte di un allegro circolo formatosi intorno allo scrittore e che si concluì solo nelle prime ore del mattino. L'intervista di due giorni che condussi a Bad Sooden-Allendorf con il cieco Joachim Kohlhaas fu molto toccante. Il punto culminante della sua vita era stata l'amicizia di lunga data con Rausch, di cui, dopo più di 50 anni, ancora parlava con entusiasmo. Lentamente, molto lentamente, dai libri di Rausch, dalle lettere e dai resoconti dei testimoni contemporanei, mi formai un'immagine dello scrittore.




Il riferimento ai Gotthelft

Ad una delle mie lettere rispose la vedova del destinatario: Suo marito Kurt era morto qualche anno prima. Lei non aveva conosciuto Rausch di persona, ma Kurt le aveva sempre parlato molto di lui durante la sua vita. Voleva aiutarmi per quanto possibile e voleva anche regalarmi i libri che Rausch aveva regalato al suo Kurt molti decenni prima, alcuni con dedica. Accettai la gentile offerta, preparai nuovamente la valigia e salii sul treno per Bad Nauheim. La signora Fresenius mi raccontò quanto segue in quel caldo pomeriggio di mezza estate nella sua casa estiva:


L'anziano Rausch era un amico paterno per il suo Kurt. Insieme a Kurt e ad altri giovani, faceva lunghe escursioni nella campagna intorno a Friedberg e Bad Nauheim. Rausch conosceva le montagne e le valli della sua terra meglio di chiunque altro. Durante il cammino, Rausch parlava della storia della regione e dell'importanza dell'arte nello sviluppo di una persona. Anche il figlio di una famiglia ebrea partecipava alle gite, che a volte duravano diversi giorni. Gert, come il suo Kurt, era già morto, ma la sorella Adelheid era ancora viva, a Londra. Sicuramente conosceva personalmente Rausch che era entrato ed uscito dalla casa dei suoi genitori. Ecco: a Roma c'era anche Stefania, una cugina di Adelheid. Entrambe le signore erano molto anziane, alcune ultraottantenni, mi affretto a dire... La signora Fresenius annotò i due indirizzi e con questo aprì un nuovo capitolo nella mia vita.


Scrissi altre lettere ed il contatto con Stefania a Roma fu il primo ad avere successo. Accordammo incontrarci in Svizzera, a metà strada tra la Germania e l'Italia. Stefania scrisse che avrebbe trascorso le vacanze a Zermatt. Avremmo potuto incontrarci lì in un ristorante. Come segno di riconoscimento avrei dovuto tenere in mano un libro di Rausch.




Primo incontro con Stefania

Qualche settimana dopo sedevo sulla terrazza ed aspettavo. Immaginavo come la donna anziana di 80 anni sarebbe entrata a piccoli passi da anziana sulla terrazza, magari appoggiandosi a delle stampelle o ad un deambulatore e si sarebbe guardata intorno pensierosa per scoprire l'uomo con il libro. Nella mia testa i pensieri andavano avanti ed indietro: come dovevo rompere il ghiaccio? Come potevo, in quanto tedesco, trattare con una ebrea che era fuggita – l‘avevo già saputo dalla Signora Fresenius- dai nazisti in Italia all'età di 17 anni? Conoscevo gli ebrei solo come figure artificiali in televisione, al teatro o nei libri: Shylock di Shakespeare, Nathan di Lessing, Itzig di Freytag, la famiglia Weiß della serie Holocaust.

Ed all'improvviso Stefania era in piedi davanti a me! Era salita sulla terrazza del ristorante a grandi passi: Pantaloni al ginocchio, calze di lana, scarponi da trekking, camicia a quadri, il cappello di feltro allegtamente messp in testa, il bastone da passeggio nella mano destra, il piccolo zaino nella sinistra. Occhi attenti e saggi si affacciavano da un viso finemente tagliato. Si sedette e mi cadde un peso dal cuore. Non c'era ghiaccio da rompere tra noi, perché lei chiacchierò subito ed in modo del tutto disinvolto. Aveva fatto un piccolo tour in montagna, non paragonabile alle lunghe escursioni di un tempo, ma comunque un bel po' di cammino per una donna di 83 anni. Il suo tedesco, nonostante avesse trascorso diversi decenni all'estero, era ancora eccellente, completamente privo di accenti.




Stefanie Gotthelft beim Interview in Rom

Stefania durante l'intervista nel suo appartamento a Roma.


Le chiesi di Rausch. Ricordava le frequenti visite dello scrittore ai suoi genitori negli anni Venti e Trenta. Mi descrisse i suoi abiti, il suo aspetto, le sue maniere, il modo in cui conversava sulla terrazza dove si beveva il caffè nel pomeriggio. Le sue parole confermarono completamente l'impressione che mi ero fatta della personalità di Rausch dalle lettere e dai racconti degli altri testimoni contemporanei. Non imparai nulla di nuovo.

Dopo aver detto tutto su Rausch, ci fu una lunga pausa. Pensai: dovevo già salutarla? No, sarebbe stato scortese... Da tempo avevo una domanda sulla punta della mia lingua: come poteva una donna che era fuggita dalla sua patria a 17 anni e che sicuramente aveva attraversato molte difficoltá, forse anche terribili nella sua vita, irradiare una tale allegria e contentezza? Mi feci coraggio e le feci la domanda. Stefania sorrise e rispose:

"Per far sì che Lei possa capire, dovrei raccontarle molte cose, in pratica tutta la mia vita. Vuole davvero ascoltarla?".

Quello che ho sentito in risposta al mio "sì", in questo e nei due successivi incontri, mi fece scoccare la scintilla. Quel pomeriggio a Zermatt, la famiglia tedesco-ebraica Gotthelft entró nella mia vita. Da allora i Gotthelft e la loro movimentata storia che risale ad oltre trecento anni fa e che continua nel presente, mi hanno accompagnato. Sono rimasti una costante della mia vita, a cui mi dedico dopo il lavoro dal lavoro di base: la sera, nei fine settimana, in vacanza - a volte più, a volte meno intensamente, a seconda delle circostanze esterne e delle forze interiori. E non vedo fine al mio coinvolgimento con i Gotthelft.


Rercherche zu den Gotthelfts im Wirtschaftsarchiv BW
Ricerche sui Gotthelft nel „Wirtschaftsarchiv Baden-Württemberg“, gennaio 2018.




Il viaggio di Stefania in Italia

Stefania inizia il suo racconto con l'anno 1933: Hitler aveva preso il potere a gennaio. A Kassel, da dove provenivano i Gotthelft, alla fine di marzo una squadra delle SA rapì due avvocati ebrei e li maltrattò per ore nel peggiore dei modi. Un giorno di aprile i genitori di Stefania le dissero:

"Dopodomani andrai da Lily per tre settimane. Il cambio d'aria ti farà bene!".

Lily era la sorella maggiore di Stefania e trascorreva il suo semestre all'estero in Italia, all'Università di Perugia. Lily era aperta, estroversa, alla conquista del mondo. Stefania era l'esatto opposto: timida e silenziosa, sognava a occhi aperti in un guscio. L'annuncio dei genitori la spaventava: un viaggio in treno, senza accompagnatore, per di più all'estero!

I passeggeri salivano e scendevano. Stefania voleva rendersi invisibile di fronte a quei volti nuovi e sconosciuti. Si strinse profondamente nel cuscino dello schienale e guardò fisso attraverso il finestrino con le braccia incrociate. Non alzò gli occhi quando la porta dello scompartimento si apriva e si richiuse. Così uscì dalla Germania, attraversò la Svizzera ed entrò in Italia. Ad ogni controllo di frontiera tremava di fronte ai funzionari ed alle loro innocue domande da dove fosse venuta e dove volesse andare.

Finalmente era sola nello scompartimento. A volte il treno viaggiava a passo d'uomo attraverso le stazioni di piccole città e villaggi. Aprí il finestrino, sporse la testa fuori e ascoltó frammenti di una lingua morbida e melodica. Vide i movimenti delle mani con cui le persone accompagnavano le loro parole. Mesi dopo, qualcuno le avrebbe detto:

"Devi imparare a parlare anche con le mani, solo allora farai pienamente parte".

Per la prima volta provó qualcosa simile alla gioia per le tre settimane che avrebbe trascorso con Lily. Presto sarebbe stata con la sorella maggiore. Il treno si fermó su di un binario aperto. Con quasi esuberanza salutó i contadini che si trovarono in un campo. Loro ricambiarono il saluto indossando foulard o berretti. Lei sentí l'odore dell'erba fresca e dell'acqua di un vicino fiume.

A Perugia uscí dal vagone con la sua valigia. Si guardó intorno e già vide la sorella che le correva incontro, sentí l'abbraccio, i baci sulle guance e sulla fronte. Lily, il turbine! Prima di poter esprimere a parole la sua gioia per il ricongiungimento, sentí Lily dire:

"Tu non tornerai indietro! Resterai qui con me in Italia. Ora sei una emigrata".

La notizia la colpí in modo del tutto inaspettato, come un fulmine a ciel sereno. Per qualche secondo rimase in silenzio ed immobile. Nella sua testa turbinavano pensieri e nel suo cuore sentimenti, un misto di impotenza, abissale disperazione ed indignazione infinita nei confronti dei genitori e della sorella che - di nascosto e senza interpellarla - avevano deciso di lei e della sua vita. Le parole di conforto e di incoraggiamento di Lily non penetrarono nella sua coscienza. Vide il movimento delle sue labbra, ma non capí cosa dicevano.

Nelle settimane successive alla conversazione a Zermatt, l'immagine di quella giovane donna, quasi ancora bambina, sconvolta, in piedi sulla banchina di un paese straniero, incapace di immaginare cosa sarebbe successo della sua vita, non mi abbandonó. Improvvisamente Stefania si trovò di fronte al nulla e alle sfide per le quali non era affatto preparata. Andava ancora a scuola, non aveva imparato nulla di pratico! Come avrebbe potuto mantenere la testa fuori dall'acqua, come provvedere all'alloggio, al cibo ed ai vestiti? Non parlava italiano, non capiva quello che le veniva detto, le parole e le frasi sui cartelli e sui pannelli informativi non avevano senso per lei. Oggi in Europa è quasi sempre possibile cavarsela con un pò di inglese. Allora era molto diverso. E gli smartphone ed i computer con i programmi di traduzione erano ancora al di là di ogni immaginazione.

Per mesi l'unico mezzo di comunicazione di Stefania con il mondo circostante fu la sorella, che difficilmente riusciva ad immedesimarsi in lei: nella sua timidezza, nella sua paura degli estranei, nelle sue difficoltà con la lingua straniera, nella sua paura di esprimersi dopo aver imparato qualche parola. Anche in questo caso Lily era molto diversa: aveva un talento per le lingue ed aveva già imparato una discreta quantità di italiano durante il suo soggiorno a Perugia. Se non sapeva qualcosa, si limitava a parlare, sperando che chi la ascoltava capisse cosa voleva dire. Stefania invece aveva difficoltà, una difficoltà infinita, non solo con la lingua, ma con tutto. Nei momenti più bui e tristi, si sentiva tagliata fuori dalla vita, come se fosse in un totale isolamento che non sarebbe mai finito.



Sulle tracce dei Gotthelfts - da oltre 20 anni

La storia della giovane donna che si sveglia la mattina in Germania e va a letto in Italia la sera senza trovare sonno, perché la sua vita era stata completamente stravolta, mi aveva attanagliato. Per la prima volta avevo davanti a me una persona che il regime aveva considerato uno dei suoi nemici, perché proveniva da una famiglia ebraica. Fino a quel momento per me, parole come „persecuzione“ e „perseguitat“i avevano solo avuto un suono astratto.... Naturalmente volevo sapere come proseguiva la storia di Stefania, come fosse riuscita a farsi strada in Italia, a sopravvivere quando anche lì iniziò la persecuzione degli ebrei. Che fine avevano fatto i suoi genitori in Germania? Cosa era successo a Lily? E poi: che tipo di famiglia erano questi Gotthelft? Che tipo di persone erano? Da dove venivano? Che cosa avevano raggiunto? Come avevano plasmato la loro vita? Come avevano raggiunto la stima - e non solo a Kassel? Quanto fosse ricca, emozionante, affascinante e commovente la storia dei Gotthelft, sia nei tempi precedenti al 1933 che quelli successivi al 1945, mi è stato chiaro solo con il passare degli anni. Non ne avevo nemmeno la più pallida idea quando a Zermatt, Stefania mi iniziò a raccontare del suo viaggio a Perugia - e nemmeno di quanto la storia dei Gotthelft sia in effetti la storia dell'ebraismo in Germania.

Die Gotthelfts betrieben in Kassel über einen Zeitraum von fast 100 Jahren eine Druckerei und gaben eine Zeitung herausgab, das Kasseler Tageblatt.

Casseler Tageblatt - Die Zeitung der Gotthelfts
Settembre 2017:
revisione delle copie microfilmate del „Kasseler Tageblatt“ e digitalizzazione dei contenuti importanti.

La famiglia era legata ad importanti personalità ebraiche da vincoli di parentela. Tra questi vi erano: Bertha Markheim (1833-1919, confidente di Karl e Jenny Marx), Julius Rodenberg (1831-1914, giornalista e scrittore), Alfred Apfel (1882-1941, avvocato difensore e membro del consiglio di amministrazione dell‘ Associazione Centrale dei cCittadini Tedeschi di Religione Ebraica/ Centralverein deutscher Staatsbürger jüdischen Glaubens) , Ottilie Schoenewald (1883-1961, politico ed attivista per i diritti delle donne), Irene Eisinger (1903-1994, soprano), Otto Loewi (1873-1961, farmacologo e premio Nobel) e Franz Rosenzweig (1886-1929, storico e filosofo).

I membri della famiglia Gotthelft vissero e lavorarono non solo a Kassel, ma anche a Königsberg, Bad Nauheim, Berlino, Karlsruhe, Mannheim, Amburgo, Colonia, Dresda e nella provincia di Turingia.

DA CONTINUARE...


Share by: